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Il thriller psicotico
L'incontro con Andrea G. Pinketts
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Correva l’anno del Giubileo. E io correvo in lungo e in largo per la riviera alla ricerca di un lavoretto estivo che mi consentisse di poter affermare: ‘sono una studentessa-lavoratrice’ che suona sempre meglio di ‘gravo economicamente e pesantemente sulle spalle dei miei’. Fui reclutata presso un ufficio stampa. Per la serata conclusiva della manifestazione era stata organizzata una cena a cui era stato invitato anche Andrea G.Pinketts. Il posto assegnatomi a tavola era accanto al suo, ma sebbene fosse già molto conosciuto all’epoca, io non avevo idea di chi fosse.

“Quando lo incontrai non ero pronta. Ero la persona sbagliata in un posto qualunque. O forse ero la persona giusta in un posto che mi avrebbe resa comunque sbagliata. Non ne avevo mai sentito parlare. Eppure lui era già leggenda…”

Tratto da “Bene o male (?) non è un caso”


Andrea G. Pinketts mi tolse subito dall’imbarazzo con una rassicurante stretta di mano accompagnata da poche parole: “Piacere, mi chiamo Andrea”. Io non mi feci tante domande, perché a quel tavolo c’erano altri a me ignoti e, forte di una sicura ignoranza, risposi a mia volta: “Piacere, mi chiamo Silvia”. Fu così che iniziammo e interrompemmo una trentina di improbabili conversazioni prima di assestarci su quella che non si può definire diversamente da una dissertazione filosofica di alto spessore. Ad un certo punto Andrea mi propose di cantare delle canzoni popolari e di fronte alla sua “O mia bela Madunina”, sfoderai la mia “Romagna mia, Romagna in fiore”.

“Mi limitai ad una presentazione laconica. Poi lui iniziò a bere cuba libre e io a torturare i pesci morti nel mio piatto. Un mar morto di fame in cui, nonostante il troppo sale, non riuscivo a galleggiare. Accadde che il dente del pregiudizio ci morse le labbra rosso sangue. Quello stesso che, una volta posticcio, demmo in pasto agli altri commensali assassinati dalle nostre canzoni popolari che si trasformarono presto in lamenti funebri.”

Tratto da “Bene o male (?) non è un caso”



Fu su quelle note stonate sparate in faccia allo stupore altrui che mi assalì la curiosità di una scimmia: “Chi sarà mai quest’uomo che non deve chiedere mai?” e vinto l’imbarazzo, ebbi l’ardire di chiederglielo. “Sono uno scrittore” rispose. Ma dal momento che io non mostravo cenni di riconoscimento né di riconoscenza, proseguì: “Lazzaro vieni fuori, il conto dell’ultima cena, ti risulta?” No. Non mi risultava. Il senso di colpa fece la sua comparsa minacciandomi di morte, ma io lo sbaragliai con una sfida: “un giorno, quando sarò grande, non solo saprò chi è Andrea G. Pinketts, ma diventerò io stessa una scrittrice”. Qualcuno pagò il conto di quella prima e ultima cena insieme e, fuori dal ristorante, il famoso scrittore e la ragazzina ignorante si salutarono con la stessa semplice stretta di mano che aveva inaugurato la loro conoscenza.
La notte stessa iniziai a leggere ‘Il dente del pregiudizio’ da cui non mi accomiatai finchè non lessi l’ultima parola. L’anno seguente lessi tutti i libri di Andrea. Quando scrissi il mio primo libro decisi che la prima persona che l’avrebbe letto sarebbe stato proprio Andrea G. Pinketts. Lo decisi in piena ed esclusiva autonomia, ma ero talmente determinata che, ad onore del proposito, questo si verificò. Convinta, a ragione, che non mi avrebbe riconosciuta, che non avrebbe accettato di incontrare chiunque, né tantomeno che avrebbe letto il mio libro, gli raccontai un enorme menzogna per darmi credibilità. Lui ovviamente non ci cascò, ne sono certa, ma accettò di incontrarmi lo stesso così, forte di una vera bugia presi il treno per Milano e lo incontrai. La cosa difficile era proporgli la lettura del mio libro che avrei dovuto inserire nell’ambito del nostro incontro in qualità di effetto sorpresa.
Optai per le maniere forti essendo risaputo che Andrea è un duro. Diciamo anche che non lo lasciai libero di scegliere perché, giunta al bar dove avevamo appuntamento, aprii la valigia in mezzo ai tavoli, estrassi le bozze e diedi inizio alla mia performance. Andrea G. Pinketts, gentiluomo, vero artista, nonchè specialista in situazioni d’emergenza, mi lasciò fare e, alla fine, sentenziò: “Mi piace”.

“Nemmeno questa volta ero pronta. Ero terrorizzata da una visione onnivora. Sul tavolo del nostro incontro, in mezzo a bicchieri vuoti di sete andata a confondere idee nate storte, vedevo soltanto due libri. Il suo, illustrato a fumetti colorati, che qualcun altro aveva disegnato per le sue nuvole gonfie di scariche elettriche e il mio, un fulmine a ciel sereno, fatto di bianco e di rondini nere. Bisognava tenerli distanti, perché la mia faccia in apnea sarebbe riemersa come un mostro dalle acque da un momento all’altro, per andare a mangiare i fumetti altrui”.

Tratto dal diario personale di Vera Mente


Ripresi il treno per la riviera la sera stessa. Poi successe che Andrea mi chiamò per dirmi che stava leggendo il mio libro trovandolo di suo gradimento. Questa sua approvazione iniziale mi diede il coraggio necessario per andare avanti nel proposito di pubblicare la mia opera prima.

Che dire ? Forse solo grazie. Grazie Andrea G. Pinketts.

“L’idea brillante” – foto di Vera Mente “L’idea brillante” – foto di Vera Mente

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